Proprio ieri stavo contemplando di postare quel che adesso suppongo sia l'ultimo articolo di Christopher Hitchens: una cronaca da Tumorland, come chiamava il luogo in cui era finito, scritta per Vanity Fair. Confutava un detto diventato comune, "Tutto quel che non ammazza, rafforza", che pare sia di Nietzsche. Poi ho pensato - che sciocchezza - di non pubblicare un articolo così triste in tempi natalizi. Non è un articolo per niente triste. E' lucido, intelligente, colto e spiritoso. Come al solito.
Ieri Christopher Hitchens è morto.
Ieri Christopher Hitchens è morto.
Mi è capitato spesso di tradurre Hitchens per il Corriere (anche oggi pomeriggio, per l'ultima volta). Mi innervosiva sempre un po'. Hitchens non è facile da rendere. Ha un modo di scrivere molto libero, piuttosto tortuoso. A volte aggressivo. Non sempre chiarissimo di primo acchito.
Lo voglio ricordare con queste parole, prese dal necrologio di William Grimes sul New York Times: "He also professed to have no regrets for a lifetime of heavy smoking and drinking. 'Writing is what's important to me, and anything that helps me do that - or enhances and prolongs and deepens and sometimes intensifies argument and conversation - is worth it to me,' he told Charlie Rose in a television interview in 2010, adding that it was 'impossible for me to imagine having my life without going to those parties, without having those late nights, without that second bottle." nyt.
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