31.7.11

Chicago, giorno 18

A spasso per Graceland Cemetery, stamattina presto (perché fa di nuovo un gran caldo), tra le tombe dei grandi che hanno fatto Chicago. Ci sono anche gli architetti, naturalmente, sepolti o artefici di monumenti funerari. Nella foto, la tomba di Sullivan.

30.7.11

Chicago, giorno 17

Passeggiando per l'Old City, la zona vecchia della città, che si è sviluppata dopo il grande incendio del 1871 soprattutto grazie ad attività inustriali e commerciali di immigrati tedeschi. Ora invece è un neighboughrood residenziale molto carino, abitatao in gran parte da Latinos. Qui di fianco un ristorante messicano chic e buono, Adobo Grill.



Questa è la vetrina della più vecchia rivendita di vini e liquori di Chicago, The House of Glunz, 1206 North Wells Street. Risale al 1888 e, apparentemente, è rimasta come allora. 

29.7.11

Chicago, giorno 16

Biblioteca, biblioteca, biblioteca. Sei ore al giorno, tutti i giorni.
Negli archivi di Ben Hecht ho trovato questa foto carina della figlia di Ben Hecht e Rose Caylor. Da notare la sofisticata nonchalance con cui gli Hechts usano l'Oscar come fermaporta.

Chicago, giorno 15

La mania del cagnolino. Ce l'hanno quasi tutti qui a Chicago, un cagnolino, o due o tre. Il caldo e i temporali pazzeschi continuano.

27.7.11

Chicago, giorno 14

Sempre al Museo di Arte Contemporanea: una curiosa scena di vita urbana. Sulle tre terrazze, a diversi livelli, si svolgevano contemporaneamente tre eventi diversi, legati dalla musica. Al livello più alto un concerto di musica jazz, a quello intermedio un matrimonio di africani americani (tutte persone di dimensioni al di sopra del comune), e a quello inferiore - il piccolo parco della foto - un workshop per bambini.

Chicago, giorno 13

Jazz al Museo di Arte Contemporanea.

25.7.11

Chicago, giorno 12

Illustrazione di Hermann Rosse
Come sono nati i grattacieli.
"The immediate problem was increased daylight, the maximum of daylight. This led him to use slender piers, tending toward a masonry and iron combination, the beginning of a vertical system. This method upset all precedent..." Dall'autobiografia di Louis Sullivan, The Autobiography on an Idea. 

Chicago, giorno 10 e 11


Weekend di piogge e sole e caldo e turismo. E architettura, ovviamente! Qui a sinistra l'auditorium all'aperto di Frank Gehry.
Sul lago stranamente c'è un'aria più calda che in città. 

22.7.11

Chicago, giorno 9

Ben Hecht in un disegno di Herman Rosse
Ecco come Ben Hecht entra al Chicago Daily Journal, a 16 anni, nel 1910. Arriva a Chicago e incontra uno zio con un gran naso rosso, Manny Moyses, che lo porta dal direttore del giornale, anche lui dotato di un naso paonazzo.
"Can you write poetry?" the other red nose demanded.
"He can write anything," my genie uncle answered recklessly.
"I'm giving a party," Mr. Eastman confided, "and I want a poem written about a bull who is nibbling some God-damn grass in a pasture and swallows a God-damn bumblebee by mistake. The bee goes down his throat into his stomach and after two days of hardship comes out of his ass in a big load of bull shit. Mad as hell, this God-damn bumblebee crawls out, dusts himself off, jumps on the bull, and stings the be-Jesus out of him. I want that written in a poem. Think you can do it, Mr. Hecht?"
"Give him a pencil," Uncle Moyses answered proudly.
"I want a moral on the end," Mr. Eastman explained, "about not keeping a good man down."

In un'ora BH scrive la poesia, in sei versi, e ottiene il lavoro.

21.7.11

Chicago, giorno 8

La residenza dell'arcivescovo di Chicago, 1555 North State Parkway, costruita nel 1885 e quindi una delle case più vecchie del Gold Coast, il quartiere residenziale elegante, a nord del Loop, dove si trova anche Astor St.

L'ondata di caldo si sta abbattendo sulla città. Siamo sui 35-37 gradi e oggi il cielo è anche plumbeo, l'aria umidissima.

Chicago, giorno 7

False alarm.

19.7.11

Chicago, giorno 6

E questa è la facciata della casa di Wright su Astor St., con qualche ornamento aggiunto da Sullivan.

18.7.11

Chicago, giorno 5

N Astor Street è la mia strada. Sono rappresentati tutti gli architetti che sto studiando e che hanno costruito Chicago dopo il terribile incendio del 1871: Sullivan, Adler, Burnham, Root, e anche un Frank Lloyd Wright 19enne che ha disegnato la casa della foto.

17.7.11

Chicago, giorno 4

Domenica, alla spiaggia sul lago, di fronte al Lincoln Park. E' iniziata quel che annunciano un'ondata di caldo micidiale che durerà una settimana.

16.7.11

Chicago, giorno 3

La facciata sul retro del Sofitel Hotel scalata con disinvoltura da due lavavetri. 24-5esimo piano circa. Sempre dalla finestra del nostro appartamento.

Chicago, giorno 2

Newberry Library. Tutto il giorno. Come in Italia, anche qui i libri te li vanno a prendere loro (ma ai fellow li portano al carrel), e, come in Italia, quelli che ti interessano di più non ci sono. All'interno un po' triste, squalliduccia. Mi si è stretto il cuore a pensare di doverci passare tante ore con una città così invitante fuori.

12.7.11

Il glorioso ruolo del bar nella storia americana

On the evening of September 26, 1765, a group of the leading citizens of Newburyport, Mass., met at the Wolfe's Head tavern. Between them, they consumed before supper, by my count, 66 bowls of punch (rum, sugar, lemon and water), five bowls and a "nip" of toddy (punch without the lemon), two bowls of egg toddy (toddy with eggs) and a mug of flip (beer, rum, sugar and eggs). After supper they had another 17 bowls of punch, three bowls of assorted toddy and six and a half pints of straight spirits. Each "bowl" was something like two pints (a third to a half of it alcohol) and so served 16 moderately sized drinks. This was for a crowd that could not have been bigger than 150 people. The purpose of their gathering was to debate a response to the recently passed Stamp Act. Of such gatherings, fueled by rum, sugar and water, was the American Revolution born - and the place of its birth was the bar.
L'importante ruolo del bar nella storia americana è raccontato dal bel libro di Christine Sismondo, America Walks Into a Bar (Oxford UP). wsj.

11.7.11

Flannery O'Connor's Cartoons

Flannery O'Connor era anche una brava disegnatrice e ha composto una serie di cartoons notevoli di cui ne uscirà una raccolta alla fine dell'anno presso Fantagraphics Books. "The Cartoons are taken from her time as a high school student at Peabody and then an undergraduate at Georgia State, and would have been published in journals alongside news stories relating to the life of the school and college itself. Cut from linoleum with oil-based ink applied to the ridges, the drawings are rudimentary but charming, a stripped down version of what Marjane Satrapi did in Persepolis". guardian.

6.7.11

Oxford Comma Vs Shatner Comma

Una piccola rivoluzione nella punteggiatura: la virgola Oxford (la virgola che precede la congiunzione "e") è stata praticamente abbandonata da tutti. Impazza, invece, la virgola Shatner - proveniente dall'universo Twitter -, la virgola che viene messa senza un'apparente ragione, per suggerire una pausa in un punto insolito del discorso. "The Oxford comma, thought by some to be an annoying punctuation foible, appears in a list of multiple items before the 'and.' Here's how the Oxford comma looks in a sentence: 'Scotty transported Spock, Kirk, McCoy, Sulu, and a redshirt down to the planet's surface.'
The Twitterverse erupted Wednesday that the Oxford comma had been dropped by none other than the Oxford University Press.... The Shatner comma! That, is, you, know, a really, fantastic, idea." Dallo spiritoso articolo di Carolyn Kellogg, "Goodbye, Oxford comma? Hello, Shatner Comma!", lat.

5.7.11

Distant Reading. Ancora su Franco Moretti


Il domenicale del NYT dedica un lungo articolo - molto critico e dai toni ironici - a Franco Moretti, professore di Comparative Literature a Stanford, ideatore della teoria del Distant Reading e fondatore del Stanford Literary Lab.  A scriverlo è Kathryn Schulz, che ha la fama di essere the world's leading wrongologist (v. usalibri, 28/3/11). Ecco qualche esempio delle grandi scoperte di Moretti secondo Schulz, "It turns out, though, that people and computers identify genres via very different features. People recognize, say, Gothic literature based on castles, revenants, brooding atmospheres, and the greater frequency of words like 'tremble' and 'ruin.' Computers recognize Gothic literature based on the greater frequency of words like . . . 'the.' Now, that's interesting. It suggests that genres 'possess distinctive features at every possible scale of analysis.' More important for the Lit Lab, it suggests that there are formal aspects of literature that people, unaided, cannot detect", oppure, "Some insights do emerge from this paper's 57 diagrams, as when the nascent divide between court and state in Renaissance Europe becomes visible in the network. Reading the paper, though, I mostly vacillated between two reactions: 'Huh? and 'Duh!' - sometimes in response to a single sentence. For example, Moretti, quoting a colleague, defines 'protagonist' as 'the character that minimized the sum of the distances to all other vertices.' Huh? O.K., he means the protagonist is the character with the smallest average degree of separation from the others, 'the center of the network.' So guess who's the protagonist of Hamlet? Right: Hamlet. Duh". nytbr.

4.7.11

The Aquarium

Ho letto solo ora, con ritardo, il racconto di Aleksandar Hemon uscito sul New Yorker del 13-20 giugno che si intola The Aquarium. E' piuttosto tremendo in quanto parla della malattia e della morte della sua seconda bambina di meno di un anno. C'è un passaggio in particolare che mi ha colpito, perché Hemon descrive con molta lucidità la sua qualità di scrittore. Dice, "Much like Ella [la figlia primogenita che Hemon osserva giocare e intanto elaborare il lutto per la morte della sorellina], I'd found myself with an excess of words, the wealth of which far exceeded the pathetic limits of my own biography. I'd needed narrative space to extend myself into; I'd needed more lives". Questo "excess of words" mi sembra il dono e il problema di Hemon. Lo scrittore è infatti capace di usare la lingua inglese con un virtuosismo incredibile - e godevolissimo -, tanto più sorprendente pensando che non è neanche la sua prima lingua. Però... c'è un però, c'è uno iato che non saprei definire con precisione, tra l'elegantissima prosa e la storia che narra. Ho sempre la sensazione (anche in questo caso, in cui narra di un fatto così doloroso e personale) che la storia abbia qualcosa di non autentico. "The Aquarium" purtroppo non è accessibile online ai non abbonati alla rivista, quindi niente link.